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Una scuola oltre le discipline

Intervista a Silvia Panzavolta, ricercatrice dell’Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa - INDIRE


In questa intervista abbiamo chiesto a Silvia Panzavolta, ricercatrice di Indire, l’Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa, di raccontarci il progetto “Oltre le discipline” per comprendere quali sono i possibili processi di trasformazione verso i quali la scuola potrebbe tendere e verso i quali, in alcuni casi, si è già avviata.

Che cosa si intende con “Oltre le discipline”?

“Oltre le discipline” è il nome che in Indire abbiamo dato a una delle idee di Avanguardia educative, un movimento di scuole che si riconoscono in un manifesto di principi e in una visione di scelte valoriali, con l’intenzione di portare proposte di cambiamento su come fare scuola. Sono progetti che richiamano a un’idea di cittadino che partecipa in maniera attiva, civile e solidale e ad una serie di comportamenti e atteggiamenti che dovrebbero incarnarsi nei nostri studenti, grazie a un percorso formativo educativo ma anche esistenziale.

In questo caso “Oltre le discipline” è anche una sorta di monito, un invito a una trasformazione che possa portare la scuola a considerare e ad abbracciare una visione che includa la complessità e consenta di andare oltre il paradigma del semplice contenuto.

Qual è la situazione attuale e come potrebbe evolvere?

Quello che osserviamo oggi è l’adozione di un modello lineare in base al quale io ti fornisco degli input e mi attendo di ottenere degli output molto precisi, ossia io fornisco insegnamento che mi restituisce indietro apprendimento. Ma questa equazione lineare non regge più perché è figlia di una visione del mondo dove la causa e l’effetto sono assolutamente legate, una visione diciamo un po’ riduzionista che non tiene conto invece di tutti gli elementi e di tutti i molteplici fattori che dobbiamo considerare in un contesto di complessità come quello della nostra epoca.

Ciò che la scuola potrebbe e dovrebbe fare è insegnare agli studenti a usare le singole discipline per cogliere il senso complesso dei fenomeni e dei processi, a osservare in maniera più olistica, per cogliere gli elementi di interdipendenza fra i sistemi. Perché certamente le informazioni sono importanti, ma ciò che conta veramente alla fine è saper leggere la realtà, trovare le connessioni, allenare il pensiero critico, adottare punti di vista differenti.
Se non facciamo questo, tenderemo a soggiornare in un paradigma che non ci spinge a essere quello che la scuola ci dovrebbe aiutare a essere, ossia imparare a imparare, a divenire cittadini flessibili, persone che riescono ad apprendere laddove si rendono conto di non sapere.

Come portare questo cambiamento?

Sicuramente andrebbe cambiato il metodo di valutazione introducendo un paradigma che metta al centro la complessità e restituisca agli studenti una centralità nel processo. Bisognerebbe guardare alla valutazione come momento di apprendimento, quindi dall’Assesment of Learning all’Assesment as learning. Perché se ti do 7, questo 7 quale contenuto informativo e formativo ha? Quindi nel processo sarebbe importante che la valutazione fosse essa stessa un processo di apprendimento. Invece che formulare un giudizio in termini numerici, il docente dovrebbe dunque guardare quello che lo studente sta facendo nel suo percorso.

Questo comporta il fatto di essere in costante osservazione. E non è semplice perché significa anche restituire un feedback formulato in un certo modo, cioè attraverso una comunicazione, che non è definitiva e tranchant ma che presenta quello che l’insegnante ha potuto rilevare e dà delle indicazioni ai ragazzi per autocorreggersi. In questo modo si tiene aperto lo spazio per il dialogo, per poter dare voce allo studente rispetto a quello che, ad esempio, è stato il suo procedimento.
Purtroppo però ci sono ricerche, ad esempio dell’Ocse, che ci raccontano che la maggior parte degli insegnanti in aula parla per il 90% del tempo ed è evidente che questa sproporzione non consente alcuna forma di confronto. Andare oltre le discipline, quindi, significherebbe di conseguenza rivedere anche l’organizzazione e la strutturazione degli orari.

Qual è il ruolo dei docenti in questo processo?

I docenti non sono psicologi, counselor o coach; dunque, anche loro hanno una bella sfida di fronte. E questo ovviamente è un altro tema da mettere sul tavolo. Quindi andare oltre le discipline potrebbe significare prevedere ad esempio un percorso di formazione continua obbligatoria, come succede già per psicologi, ingegneri, medici, tutte professioni che hanno a che fare con situazioni complesse, proprio come del resto è il mondo della scuola.
Abbiamo bisogno di professionisti dell’apprendimento che siano in costante osservazione, che abbiano buone capacità di riflessione, che allenino la propria attenzione a non dare le cose per scontate, che sappiano mantenere sempre viva la propria curiosità. Tutti i docenti si dovrebbero sentire protagonisti in questo processo di creazione di una scuola di qualità, dovrebbero sentire che la loro parte può fare la differenza, fosse anche per uno solo degli studenti che incontreranno, perché la differenza per quella persona potrebbe essere incommensurabile.

Foto: CASEZY – iStock


Pubblicato il 11 Ottobre 2023 da eduEES

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